di Tuono Pettinato, 2010
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Tuono Pettinato è un autore che, con estrema intelligenza e uno stile raffinato che si rischia di non vedere nelle sue stilizzazioni, ha portato un rinnovamento nel settore del fumetto umoristico che vanta in Italia di una grande tradizione ma che rischiava ora di spegnersi. La sua arma migliore sta nella capacità di creare gag paradossali grazie ad un sapientissimo dosaggio ritmico di immagini e parole e alla costruzione di continui effetti di ribaltamento, di cortocircuito di senso, di un’ironia che non è mai violenta, ma arriva sempre con efficacia. Il lettore si trova nelle sue storie continuamente oscillante tra l’adesione al racconto e i personaggi ed uno sguardo esterno, sorridente. Questo meccanismo assume un valore particolare qui perché l’oggetto del racconto è l’autore stesso, anche se trasformato in personaggio fumettistico e con un nome che non coincide con quello sulla copertina.
Un gioco di “finzioni” (come il titolo del libro di Borges da cui l’autore ha tratto il suo pseudonimo) che introduce una questione di non poco conto: è possibile davvero ricordare l’infanzia? Si può tornare davvero a quei momenti? Essere bambini non è una condizione totalmente altra e irrecuperabile? Il distacco ironico è forse allora uno strumento indiretto per accostarsi almeno ad un universo che non si lascia avvicinare? Domande che l’autore lascia sospese, anche se fa capolino tra una vignetta e l’altra, qualche sentore di nostalgia malinconica, che potrebbe essere un indizio importante.
Dal Scelte di classe, un progetto di Tribù dei Lettori, catalogo a cura di Hamelin Associazione Culturale, 2011.
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Tuono Pettinato è un autore che, con estrema intelligenza e uno stile raffinato che si rischia di non vedere nelle sue stilizzazioni, ha portato un rinnovamento nel settore del fumetto umoristico che vanta in Italia di una grande tradizione ma che rischiava ora di spegnersi. La sua arma migliore sta nella capacità di creare gag paradossali grazie ad un sapientissimo dosaggio ritmico di immagini e parole e alla costruzione di continui effetti di ribaltamento, di cortocircuito di senso, di un’ironia che non è mai violenta, ma arriva sempre con efficacia. Il lettore si trova nelle sue storie continuamente oscillante tra l’adesione al racconto e i personaggi ed uno sguardo esterno, sorridente. Questo meccanismo assume un valore particolare qui perché l’oggetto del racconto è l’autore stesso, anche se trasformato in personaggio fumettistico e con un nome che non coincide con quello sulla copertina.
Un gioco di “finzioni” (come il titolo del libro di Borges da cui l’autore ha tratto il suo pseudonimo) che introduce una questione di non poco conto: è possibile davvero ricordare l’infanzia? Si può tornare davvero a quei momenti? Essere bambini non è una condizione totalmente altra e irrecuperabile? Il distacco ironico è forse allora uno strumento indiretto per accostarsi almeno ad un universo che non si lascia avvicinare? Domande che l’autore lascia sospese, anche se fa capolino tra una vignetta e l’altra, qualche sentore di nostalgia malinconica, che potrebbe essere un indizio importante.
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