Miralat

di Diego Malaspina, 2009
10,00 | Acquistalo su Topishop

Sia detto subito, il titolo del commento, La principessa col pisello, non è farina del mio sacco: viene da un albo illustrato intitolato Nei panni di Zaf, dove, come qui, c'è un bimbo a cui piace travestirsi da principessa.
Questa di Diego Malaspina è un'autobiografia, realizzata per questa nuova collana, Gli anni in tasca, appunto dedicata a racconti biografici di infanzie e adolescenze.
Miralat è un racconto gustosissimo, saporito, che ritrae, con tinte vivaci e sapiente scrittura, gli anni della prima infanzia di un bimbo che pare un marziano, non mangia, sogna vestiti da fatina e la cui personale trinità è rappresentata da Cenerentola, Biancaneve e la Bella Addormentata.
Un affresco dell'Italia degli anni Sessanta, una galleria di personaggi di familiari e conoscenti riuscita, credibilissima e divertente.
Un racconto sulla diversità privo di qualsiasi retorica e morale posticcia, una storia sul presunto concetto di "nomalità" scanzonata e sorridente.
Una libro che ci sarebbe bisogno di far leggere (e far capire!), che rivela un talento narrativo nuovo; una delizia, una caramella succosa dall'inizio alla fine. Uno dei migliori romanzi per ragazzi dell'anno.

da La principessa col pisello di La prosivendola su Anobii.

La casa di Topo Pitù

di Roberto Piumini e Carll Cneut, 2013
22,00 | Acquistalo su Topishop

Piumini è uno dei maggiori scrittori contemporanei per l'infanzia. Cneut, uno dei più sofisticati illustratori del nostro tempo. Per centoventi pagine La casa di Topo Pitù è il regno della poesia e dell'allegrezza, che parla all'umanità dell'umanità, attraverso gli animali. Sono suricati, oche, pappagalli, pesci, topi, storni, passeri, canarini, pinguini, cani, piccioni, elefanti, volpi, orsi, formiche, cavalli, grilli, libellule, meduse, lupi, rinoceronti, trichechi, ippopotami, conigli, gatti, lombrichi, fenicotteri, galli, scimmie, pipistrelli, farfalle, zebre, pecore, cervi, ragni, maiali, cicogne, coccinelle, capodogli, lumache, asini, balene. Infine proprio loro: i bambini, le bambine. ”Seienni e “piccini” precisa il testo in alcuni momenti. Anche più piccoli o più grandi, aggiungerebbero certi lettori, che adottano La casa di Topo Pitù tra persone neonate e nonni di una certa età.
La casa di Topo Pitù è un luogo della lettura, dell'ascolto, della visione, dell'oralità; è un tempo per giocare, guardare le figure, muovere pensieri e passi del corpo. [...] Per trovare, prima di oggi, un esempio analogo a questo albo, ci saremmo dovuti riferire alla letteratura di altri paesi europei, dove il linguaggio della poesia è esplorato con più disinvoltura e maggiore continuità da parte di chi opera nell'ambito dell'editoria per l'infanzia.
Un oggetto così voluminoso e rappresentativo è, dunque, benvenuto. Esso potrà fungere da amplificatore degli scopi dichiarati dall'editore relativamente alla collana Parola magica, cui appartiene La casa di Topo Pitù, giunta con questa pubblicazione al suo quindicesimo titolo. È consuetudine per i lettori ritrovare qui «Poesie da recitare insieme ai bambini come formule magiche per superare gli ostacoli lungo il cammino delle giornate». Dal primo giorno della sua esistenza, la casa editrice Topipittori, tramite questa collana, ha scelto di promuovere la poesia; l'uso e la trasmissione di una lingua bella da scrivere e parlare da bambini e adulti, fra bambini e con i bambini; la ricerca di autori sconosciuti ai più e molto giovani, accanto a poeti affermati. La casa di Topo Pitù è un invito a conoscere meglio la collana di cui fa parte e a leggere tutti i libri di cui è madre.

Da 120 volte poesia, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2013.

C'è posto per tutti

di Massimo Caccia, 2011
16,00 | Acquistalo su Topishop

Animali: sono loro i protagonisti di C'è posto per tutti. Si sono lasciati alle spalle chissà quanti chilometri e giorni, regioni polari, savane, foreste temperate e tropicali, ghiacciai, montagne innevate, deserti, albe, crepuscoli, nottate, per arrivare fin qui, alla bocca dell'arca, per tentare adesso di salvarsi. Vanno verso la catastrofe annunciata, cioè il diluvio universale, in processione laica, non a coppie,  come vorrebbe la tradizione, ma a singoli. Hanno l'aria che hanno: un po' preoccupata, un po' assonnata, molto concentrata, di nessuno si può dire che sia rassegnato all'apocalisse. La sventura che incombe sui loro passi – se fossero umani del 2012, verrebbe da immaginarli trafelati, suscettibili di smorfie deformanti e imprecazioni disarticolate al minimo alito di vento – è dissimulata con un grado di discrezione e self control a cui tutti dovremmo imparare a ispirarci nei momenti di disperazione.
Tanta è la comprensione per la precarietà del loro stato, quanta è la stupefazione e la tenerezza di fronte all'eleganza e alla compostezza con cui ciascun animale contrasta l'angoscia e attende il proprio turno. Ciascuno è fermo e al tempo stesso in moto perpetuo. Prevale un certo senso pratico sulla fretta di prendere posto come capita (perfino dentro l'arca regna un caos ordinato). [...]
C'è posto per tutti è un esempio antiretorico di convivenza riuscita. Quando stare uniti è un vero rompicapo, soggetti tra loro molto diversi, come qui, trovano nel tangram la perfetta soluzione. La geometria diventa il linguaggio per parlare la babele delle lingue e stringere incastri magici. Grazie all'intelligenza delle forme, i piccoli e i grandi, i morbidi e i duri, i molli e i rigidi, i grossi e i sottili, gli aperti e i chiusi, gli storti e i dritti, i leggeri e i pesanti, i caldi e i freddi eccetera, si fanno compagnia e socializzano. Anche perché il viaggio che si profila, dopo l'ultima pagina potrebbe essere infinito: perciò, meglio portarsi rispetto e volersi un po' bene.

Da Incastri magici, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2012.

Mister P

di Federica Iacobelli e Chiara Carrer, 2008
14,00 | Acquistalo su Topishop

C’è chi perde la testa per un suono e chi si invaghisce di cento occhi. La voce dei sentimenti è irrazionale. Sulla strada che porta da casa a scuola si scopre di tutto, anche l’amore. La storia di un bambino, di un pavone e di una pompa di benzina innamorati.
Un’ora di scuola per parlare d’amore. Un discorso amoroso, tra grandi e piccoli. Perché no? Ma come si fa, quando il pubblico è composto da bambini della scuola elementare e quando la materia da trattare si sposa così poco con i ragionamenti? E come si fa, quando anche per gli adulti è difficile riconoscere cosa sia amore e cosa no, e quando il seme dell’educazione sentimentale, in tutte le fasce d’età, sembra essersi estinto? Si comincia raccontando una storia. Per esempio, Mister P. [...] Dopo una copertina che tiene tutti col fiato sospeso, capo in avanti, occhi e bocche spalancate rivolte verso una visione che si immagina stupefacente, la storia parte. Con una confessione a bruciapelo.
«Mi manca, Mister P: i cento occhi, la sua coda colorata e quella strana buffa serenata! Insieme, ora potremmo raccogliere da terra le sue penne. O andare in cerca di un amore ricambiato […] Chissà dov’è finito, Mister P». In poche righe il testo informa che siamo nel mezzo di una ricerca. Ci vuole un viaggio all’indietro per risalire all’identità di Mister P e all’origine di un’amicizia molto speciale: quella tra un bambino e un animale. [...] Le passioni fanno breccia senza preavvisi. Ma non nascono dal nulla. Quella del protagonista per Mister P, è un’attrazione che ha per oggetto suoni, colori e ambienti molto precisi. «Accadde tutto nella mia stazione di servizio preferita», si legge. «Lì c’era quella bella pompa rossa che dà benzina e cigola e borbotta». Un bel giorno, un’apparizione: «era un uccello galliforme color verde rosmarino e blu cobalto con la coda come una ruota arcobaleno che girava e si gonfiava tanto. Era un pavone. Ed era molto bello».
Quest’ultima frase è in grassetto e compare altre due volte, a distanza di poche pagine, sempre in riferimento a Mister P. Perché una sottolineatura così vistosa? In generale, scegliere di raccontare una storia dove il bello ha un ruolo decisivo, provoca una domanda seria agli adulti che vivono in contatto con i bambini: perché tanta disponibilità nell’offrire loro i mille volti della bruttezza (i brutti esempi, il brutto linguaggio, le brutte maniere, i brutti gusti eccetera), e non spendersi, invece, in tentativi diversi: per esempio introdurli fin da piccoli, a una comunicazione affettiva con le persone, gli animali e le cose; a momenti ripetibili di godimento; a una grammatica esistenziale radicata sul bello, sullo stupore, sulla vicinanza corporea a ciò che più piace, in definitiva sull’amore?

Da Amori fatali, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2009.

C'era un ramo

Giovanna Zoboli, Francesca Zoboli, 2007
€13,00 | Acquistalo su Topishop

Una starna codalunga di 35 cm, circa un etto di peso, può arrivare a percorrere in un anno circa 50 mila chilometri. In questo c'è qualcosa di miracoloso e sorprendente che rende la migrazione degli uccelli uno dei fenomeni naturali che più affascinano l'uomo. Restiamo a bocca aperta per la capacità di orientamento di questi piccoli animali, per le distanze che percorrono, per la loro resistenza in volo. Ma anche perché in questi movimenti ciclici riconosciamo qualcosa che ci appartiene nel profondo: il nomadismo, lo spostamento per necessità materiali, il bisogno di adattarsi al ritmo delle stagioni, l'istinto a partire, l'emozione del ritorno. Giovanna Zoboli e sua sorella Francesca - artista, decoratrice, grafica, al suo felice esordio come illustratrice per ragazzi - attraverso la storia di un uccello migratore costruiscono un racconto pieno di poesia e stupore, sul viaggio e sulle stagioni, sulle grandi domande della vita e sull'inquietudine che ci spinge a esplorare, navigare, scoprire.
Nella prima tavola l'uccellino è nel suo nido, circondato dal grigio dell'inverno e dal bianco della neve. L'animale non capisce cosa stia succedendo, ma sente il bisogno di partire, di volare in alto verso le stelle, per trovare risposta alle sue domande. La migrazione diventa un viaggio alla scoperta del senso della vita, un percorso di crescita necessario e inevitabile che spinge l'uccellino ai confini dell'universo conosciuto, fra buchi neri, pianeti inesplorati e tempeste cosmiche. Finché nella penultima tavola l'animale fa ritorno al suo ramo. Ora lo sfondo è verde, come a primavera, e nel nido c'è un uovo bianco: dopo il viaggio si scopre la felicità al punto di partenza, dove tutto è uguale e, allo stesso tempo, diverso. Diverso perché sono cambiati gli occhi di colui che osserva, e che infine (nell'ultima tavola) è pronto a includere nel suo sguardo anche gli altri rami, con i loro nidi, gli uccelli e le uova. Un albo essenziale e misurato, nella scrittura come nell'uso del colore e nella composizione della pagina, ma allo stesso tempo un albo capace di emozionare il lettore perché narra una storia a più livelli, che è metafora dell'esistenza e del nostro viaggio attraverso la vita.

Un viaggio senza fine, Mara Pace, Andersen, giugno 2007.

Cicale

di Marta Iorio, 2012
€ 16 | Acquistalo su Topishop

Cicale, opera prima dell'autrice napoletana Marta Iorio, è il titolo più recente della collana Gli anni in tasca graphic che la casa editrice Topipittori dedica alle narrazioni autobiografiche a fumetti sull'esperienza dell'infanzia e dell'adolescenza.
Cicale è un'immersione nella memoria dell'autrice, un percorso tra i ricordi e le sensazioni della sua infanzia, trascorsa con una famiglia che ha cambiato spesso città, paese e abitudini.
La prima casa a Napoli, i giochi dalla terrazza, la personalità bizzarra di Zia Maria, il suono confuso di una lingua diversa, le affascinanti ed esplosive amiche della mamma: pagina dopo pagina seguiamo le vicende di Marta e della sua famiglia, che la incoraggia a fare esperienze nuove, a partire, esplorare.
Ma questa grande libertà si scontra con il dovere di tutti i bambini: la scuola - un luogo dove ogni giorno si fanno le stesse cose, un obbligo a cui non ci si può sottrarre. Così Marta si ribella, si ammala, si dispera. Ma a poco a poco, crescendo, capisce che a volte gli ostacoli "sono indizi per intraprendere un'altra strada...". E che "la strada adatta a costruire la propria forma, il proprio modo d'essere, è lunga e ricca di tentativi..."
Le morbide pennellate delle illustrazioni, ora a tutta pagina ora inserite come dei camei nel testo fitto, le tinte pastello, le forme arrotondate del lettering sembrano emergere direttamente della memoria dell'autrice, sprazzi di memoria che tornano in superficie.

Da Aspettando BilBolBul. Cicale di Marta Iorio, su Flashsumetto, 2013.

Quanti siamo in casa

Isabel Minhós Martins e Madalena Matoso, 2011
€14,00 | Acquistalo su Topishop

«In casa siamo 6 teste. Ciascuna pensa alle proprie cose... Ma a volte pensano tutte alla stessa cosa. In casa siamo 78 dita, 20 ditini e 20 ditoni... In tutto fanno 118 unghie che la mamma ci fa tagliare tutte le domeniche. In casa siamo...»  [...] Leggere il corpo attraverso le parole e le immagini di un libro e leggere il corpo con il proprio corpo, sono due cose diverse che Quanti siamo in casa riesce a combinare a regola d'arte. Il testo e le illustrazioni di Martins e Matoso, sono adatte a un viaggio sia scientifico, sia tattile, lungo il corpo. Esso comincia dalla testa, prosegue lungo gli arti superiori e il tronco e arriva ai piedi. [...]  Un manuale di anatomia e fisiologia è concepito e studiato in modo diverso da Quanti siamo in casa. Raffrontare le qualità specifiche di queste due tipologie di libro, mette i lettori nella condizione di intendere quali e quanti modi esistono di rappresentare e raccontare il corpo. Pensiamo all'intestino disegnato dalla Matoso ispirato alle condutture di un moderno impianto idraulico, pensiamo alla serie El mapa de mi cuerpo di Genichiro Yagyu, edita fino a qualche anno fa dalla casa editrice spagnola Media Vaca, pensiamo agli studi anatomici di Leonardo da Vinci. [...] Quanti siamo in casa ha i connotati per essere considerato un “libro-laboratorio”. Questo oggetto dà il benvenuto a forme di gioco varie, dal gioco di leggere, al gioco del corpo che si tocca, dal gioco di toccare il corpo degli altri, al gioco di disegnarlo. [...] Quanti siamo in casa, perché? La matematica è la casa madre delle discipline scientifiche, c'è chi per questo la chiama “la regina delle scienze”. In questo libro i numeri prendono la parola fin dai risguardi, dove si nominano per trentadue volte numeri in progressione ascendente da 1 a 32, secondo una logica che è resa nota solo al termine della lettura: i personaggi della storia sono trentadue. Per quanto le cifre siano dati oggettivi, in questo libro sono una parte di testo che dispensa operazioni matematiche solo in seconda battuta. Prima di tutto, infatti, i numeri servono per raccontare una storia, da punti di vista molto soggettivi. Dichiariamo genericamente che tutti abbiamo 1 cuore, 2 mani, 2 orecchie, 20 unghie, 32 denti, eccetera, ma c'è chi capelli ne ha 3, chi di unghie ne ha 19 (perché una l'ha persa e sta ricrescendo), chi di denti ne ha meno, perché stanno spuntando o sono caduti, chi di nei ne ha 0. Il rapporto tra dimensione soggettiva e oggettiva è da approfondire, accontentarsi di una separazione astratta tra questi due estremi potrebbe essere fuorviante.
È un equilibrio magico quello che si ottiene nell'operazione di contare, tra astrazione e concretezza. Da questo aspetto, forse, dipende il fascino e il gusto che molte persone provano nel fare calcoli. Chi impara a contare sperimenta diverse vie, prima di calcolare su base astratta. Quanti siamo in casa, ricorre per questo scopo alle diverse parti del corpo, affinché possano valere come parametri di misurazione elementari, tuttavia efficaci. Con il corpo gli esseri umani misurano da secoli. [...] Quanti siamo in casa è un oggetto che principalmente fa divertire, ridere, giocare, cantare.

Da Una storia di tanti, di Giulia Mirandola, Catalogone 2011.

Dame e cavalieri

 di Marta Sironi e Francesca Zoboli, 2012
€ 12 | Acquistalo su Topishop

Dame e cavalieri, secondo volume della collana Piccola Pinacoteca Portatile, è un libro che dal nostro tempo spazia verso un altrove a tratti storico, a tratti fiabesco, lontano abbastanza dall'ora e dal qui, perché sogniamo a occhi aperti di essere chi non siamo: Ginevra d'Este, Battista Sforza, Federico da Montefeltro, Francesco I re di Francia, Maria I regina d'Inghilterra, sono alcuni esempi. Il solo fatto di pronunciare questi nomi ad alta voce, accanto a ritratti di donne e uomini che li rappresentano, è evocativo di atmosfere e ambienti che nel corso della lettura avvolgono chi entra nel libro, come il teatro è in grado di fare quando sul palco lo spettacolo comincia. [...] Il testo, alla pagina di Francesco I, offre un esempio di come si fa un set: «Quando il pittore era chiamato a fare il ritratto di un potente re, magari amico degli artisti, allora metteva in campo tutte le armi delle belle arti per ottenere un risultato strabiliante: si portava il sovrano nella stanza con le pareti broccate, gli si faceva indossare velluti e sete dalla fantasie cangianti, gli si chiedeva di esibire i più preziosi gioielli e, non contenti, gli si faceva indossare cappello, guanti, impugnare la spada chiedendo solo all'ultimo un semplice sorriso per immortalare l'immagine regale.» [...] Scrive Alexander Calder in un piccolo libro dedicato al disegno di animali, che «il desiderio di disegnare qualcosa è il miglior incentivo per fare un disegno». Per dare respiro assoluto al gesto di disegnare e colorare in modo soggettivo, Zoboli usa ripetere un'azione: quella di spogliare i ritratti originari da ogni elemento decorativo e di eliminare dal campo visivo qualsiasi dettaglio descrittivo che vada oltre il profilo in bianco e nero su sfondo bianco e qualche accessorio fondamentale (perle, gioielli, piume, veli). Anche se vestite, queste figure ci sembrano nude ed è grazie a questo intervallo neutro che interveniamo sui corpi e i costumi che indossano, li modifichiamo a piacere, a colori, a matita, tagliando e incollando, allestendo quello che potrebbe diventare un vero e proprio atelier sartoriale. A ciò vale la presenza di un repertorio di fogli senza parole, carte decorate sui toni del rosso, dell'oro, del blu, del marrone, del grigio, del nero, del viola, del verde, su cui sono stampate rose, ventagli, sigilli, conchiglie, anelli, stelle, diamanti, medaglie, fiocchi. [...] Dame e cavalieri è un libro laboratorio, adatto ad annodare i fili con l'artigianato e con l'alta moda. «Il giorno di mercato,» puntualizza il testo, «in un qualsiasi paese del mondo, gli uomini e le donne appaiono dame e cavalieri». I testi di Marta Sironi, fatta eccezione per le informazioni circoscritte alle opere (nome dell'autore, titolo, datazione, città e luogo di conservazione), parlano soprattutto di uomini e di donne. Nei loro ritratti, signore e signori, si raccontano. [...] Quello disegnato da Francesca Zoboli e scritto da Marta Sironi, è un viaggio nelle storie della pittura, del design, del potere, dei comportamenti, dei colori, delle donne, degli uomini, dei simboli, delle corti italiane ed europee nei secoli XIV, XV e XVI. La letteratura che tratta questi argomenti, solitamente è racchiusa in opere in tanti volumi, volumi di molte pagine, pagine con molto testo. Dame e cavalieri, nello spazio di 64 pagine, sfrutta la silhouette, la tintura e l'ornamento per dire quasi tutto.

Da Prova costumi,  di Giulia Mirandola, Catalogone 2013

Doppio blu

di Bruno Tognolini, 2012
10,00 | Acquistalo su Topishop

Un uomo e un cane stanno seduti sulla spiaggia a guardare il mare. «Di che colore è?» chiede il cane al suo padrone. L'uomo quasi senza pensare risponde che è blu, poi riflette e prova a esser più preciso, perché quello che ha accanto è un quadrupede pignolo e, soprattutto, molto filosofo. «È verde acqua, poi turchese, poi azzurro e solo alla fine è blu, blu oltremare.» L'animale allora invita l'essere umano a riempire una bottiglietta con un po' di quell'acqua e ad osservarne il contenuto. «È trasparente» dice l'uomo al cane che finalmente può abbaiare di soddisfazione. Oltre il mare, su un'altra spiaggia, c'è un bambino che ammira quella stessa grande superficie che sa di sale, cerca con gli occhi il futuro, immagina l'adulto che diventerà e ha pupille piene d'incanto. L'uomo con il cane vede il bambino, il bambino vede l'uomo con il cane: un incrocio di sguardi ed è doppio blu...
Bruno Tognolini, cagliaritano, celebrato "poeta per l'infanzia" (e non soltanto) e autore di programmi televisivi come L'albero azzurro e La Melevisione, racconta la sua infanzia, alternando a dialoghi tra se stesso e il cane frammenti del tempo in cui ha saputo forgiare il proprio mondo e l'adulto che è diventato. Perché il piccolo Bruno ha avuto il potere di dare il nome alle cose e di inventare un universo: a quelle luci che lievi entravano dalle finestre quando finiva la notte e si trasformavano in matasse luminose in movimento sul soffitto ha dato il nome di Arie e ha fatto diventare la preghiera “Gesù mi metto nelle tue mani” una storia dove il protagonista era Gesù Mimetto. Ogni bambino ha una storia simile tra i ricordi, ma non sempre ne ha memoria perché durante la crescita non tutto va per il verso giusto. Capita a volte che i grandi deraglino dai binari così pazientemente preparati da se stessi quando erano bambini e magari chi voleva fare l'astronauta finisce immusonito e vestito di grigio dietro una scrivania, privo del bimbo che è stato. Tognolini non solo non è mai uscito da quelle rotaie, ma continua a costruirle, sfrecciandoci sopra con la velocità supersonica della sua fantasia.

Da Doppio blu, recensione di Amarilli Novel, per il sito Mangialibri.
Un uomo ed un cane stanno seduti sulla spiaggia a guardare il mare. «Di che colore è?» chiede il cane al suo padrone. L'uomo quasi senza pensare risponde che è blu, poi riflette e prova ad esser più preciso, perché quello che ha accanto è un quadrupede pignolo e, soprattutto, molto filosofo. «È verde acqua, poi turchese, poi azzurro e solo alla fine è blu, blu oltremare.» L'animale allora invita l'essere umano a riempire una bottiglietta con un po' di quell'acqua e ad osservarne il contenuto. «È trasparente» dice l'uomo al cane che finalmente può abbaiare di soddisfazione. Oltre il mare, su un'altra spiaggia, c'è un bambino che ammira quella stessa grande superficie che sa di sale, cerca con gli occhi il futuro, immagina l'adulto che diventerà e ha pupille piene d'incanto. L'uomo con il cane vede il bambino, il bambino vede l'uomo con il cane: un incrocio di sguardi ed è doppio blu...
Bruno Tognolini, cagliaritano, celebrato "poeta per l'infanzia" (e non soltanto) ed autore di programmi televisivi come L'albero azzurro e La Melevisione, racconta la sua infanzia, alternando a dialoghi tra se stesso ed il cane frammenti del tempo in cui ha saputo forgiare il proprio mondo e l'adulto che è diventato. Perché il piccolo Bruno ha avuto il potere di dare il nome alle cose e di inventare un universo: a quelle luci che lievi entravano dalle finestre quando finiva la notte e si trasformavano in matasse luminose in movimento sul soffitto ha dato il nome di Arie e ha fatto diventare la preghiera “Gesù mi metto nelle tue mani” una storia dove il protagonista era Gesù Mimetto. Ogni bambino ha una storia simile tra i ricordi, ma non sempre ne ha memoria perché durante la crescita non tutto va per il verso giusto. Capita a volte che i grandi deraglino dai binari così pazientemente preparati da se stessi quando erano bambini e magari chi voleva fare l'astronauta finisce immusonito e vestito di grigio dietro una scrivania, privo del bimbo che è stato. Tognolini non solo non è mai uscito da quelle rotaie, ma continua a costruirle, sfrecciandoci sopra con la velocità supersonica della sua fantasia. - See more at: http://www.mangialibri.com/bambini-ragazzi/doppio-blu#sthash.oPmaF2R4.dpuf
Un uomo ed un cane stanno seduti sulla spiaggia a guardare il mare. «Di che colore è?» chiede il cane al suo padrone. L'uomo quasi senza pensare risponde che è blu, poi riflette e prova ad esser più preciso, perché quello che ha accanto è un quadrupede pignolo e, soprattutto, molto filosofo. «È verde acqua, poi turchese, poi azzurro e solo alla fine è blu, blu oltremare.» L'animale allora invita l'essere umano a riempire una bottiglietta con un po' di quell'acqua e ad osservarne il contenuto. «È trasparente» dice l'uomo al cane che finalmente può abbaiare di soddisfazione. Oltre il mare, su un'altra spiaggia, c'è un bambino che ammira quella stessa grande superficie che sa di sale, cerca con gli occhi il futuro, immagina l'adulto che diventerà e ha pupille piene d'incanto. L'uomo con il cane vede il bambino, il bambino vede l'uomo con il cane: un incrocio di sguardi ed è doppio blu...
Bruno Tognolini, cagliaritano, celebrato "poeta per l'infanzia" (e non soltanto) ed autore di programmi televisivi come L'albero azzurro e La Melevisione, racconta la sua infanzia, alternando a dialoghi tra se stesso ed il cane frammenti del tempo in cui ha saputo forgiare il proprio mondo e l'adulto che è diventato. Perché il piccolo Bruno ha avuto il potere di dare il nome alle cose e di inventare un universo: a quelle luci che lievi entravano dalle finestre quando finiva la notte e si trasformavano in matasse luminose in movimento sul soffitto ha dato il nome di Arie e ha fatto diventare la preghiera “Gesù mi metto nelle tue mani” una storia dove il protagonista era Gesù Mimetto. Ogni bambino ha una storia simile tra i ricordi, ma non sempre ne ha memoria perché durante la crescita non tutto va per il verso giusto. Capita a volte che i grandi deraglino dai binari così pazientemente preparati da se stessi quando erano bambini e magari chi voleva fare l'astronauta finisce immusonito e vestito di grigio dietro una scrivania, privo del bimbo che è stato. Tognolini non solo non è mai uscito da quelle rotaie, ma continua a costruirle, sfrecciandoci sopra con la velocità supersonica della sua fantasia. - See more at: http://www.mangialibri.com/bambini-ragazzi/doppio-blu#sthash.oPmaF2R4.dpuf
Un uomo ed un cane stanno seduti sulla spiaggia a guardare il mare. «Di che colore è?» chiede il cane al suo padrone. L'uomo quasi senza pensare risponde che è blu, poi riflette e prova ad esser più preciso, perché quello che ha accanto è un quadrupede pignolo e, soprattutto, molto filosofo. «È verde acqua, poi turchese, poi azzurro e solo alla fine è blu, blu oltremare.» L'animale allora invita l'essere umano a riempire una bottiglietta con un po' di quell'acqua e ad osservarne il contenuto. «È trasparente» dice l'uomo al cane che finalmente può abbaiare di soddisfazione. Oltre il mare, su un'altra spiaggia, c'è un bambino che ammira quella stessa grande superficie che sa di sale, cerca con gli occhi il futuro, immagina l'adulto che diventerà e ha pupille piene d'incanto. L'uomo con il cane vede il bambino, il bambino vede l'uomo con il cane: un incrocio di sguardi ed è doppio blu...
Bruno Tognolini, cagliaritano, celebrato "poeta per l'infanzia" (e non soltanto) ed autore di programmi televisivi come L'albero azzurro e La Melevisione, racconta la sua infanzia, alternando a dialoghi tra se stesso ed il cane frammenti del tempo in cui ha saputo forgiare il proprio mondo e l'adulto che è diventato. Perché il piccolo Bruno ha avuto il potere di dare il nome alle cose e di inventare un universo: a quelle luci che lievi entravano dalle finestre quando finiva la notte e si trasformavano in matasse luminose in movimento sul soffitto ha dato il nome di Arie e ha fatto diventare la preghiera “Gesù mi metto nelle tue mani” una storia dove il protagonista era Gesù Mimetto. Ogni bambino ha una storia simile tra i ricordi, ma non sempre ne ha memoria perché durante la crescita non tutto va per il verso giusto. Capita a volte che i grandi deraglino dai binari così pazientemente preparati da se stessi quando erano bambini e magari chi voleva fare l'astronauta finisce immusonito e vestito di grigio dietro una scrivania, privo del bimbo che è stato. Tognolini non solo non è mai uscito da quelle rotaie, ma continua a costruirle, sfrecciandoci sopra con la velocità supersonica della sua fantasia. - See more at: http://www.mangialibri.com/bambini-ragazzi/doppio-blu#sthash.oPmaF2R4.dpuf

Brutto + Bello

di Keisuke Shimura e Antonio Koch, , 2006


Brutto + Bello comincia con una operazione matematica paradigmatica, e, con la relazione che questa esprime, un’addizione, prova a rispondere ad alcuni grandi interrogativi dell’esistenza: “chi sono io?”, “chi sei tu?”, “chi è l’altro?”. Per come si offre al lettore, la copertina sembra nascere dalla constatazione che, anche fra contrari, un equilibrio esiste, e chiede a due parti opposte (due aggettivi, due colori, due creature, due momenti della giornata) di tenersi unite. Attraverso le parole di Antonio Koch e le immagini di Keisuke Shimura, Brutto e Bello risultano essere due cose in una.
Il formato stesso – un quadrato 20 x 20 cm – concorre, a libro chiuso, a rafforzare, in termini geometrici, un’idea di assoluta parità: può essere quella fra forma e contenuto, immagine e testo, sogno e realtà, istinto e ragionevolezza, e così via. Ciò che si è soliti chiamare “paura del diverso”, qui, non ha motivo di manifestarsi. Come si legge: «Nessuno ha paura di Brutto. […] Nessuno ha paura di Bello.». Il concetto di equità, dalla copertina in poi, è declinato dagli autori con ogni mezzo espressivo, purché, per trentadue pagine, si rispetti il principio generale del libro: la commistione di contrari: Brutto + Bello.
Le antitesi sono lampanti. Il nero col bianco, la sinistra con la destra, il sopra col sotto, il brutto col bello, il mostro col bimbo, il dentro col fuori, il chiuso con l’aperto, il sonno con la veglia, il buio con la luce, la notte col giorno, la retta con la curva, il quadrato col cerchio, la solitudine con l’amicizia, la singolarità con la pluralità. Lo si riscontra nelle immagini, dove il bianco emerge dal nero uniforme della pagina, per dare luogo a scene prevalentemente notturne. [...] In copertina, l’uso del segno “+”, collocato in alto, in posizione centrale ed equidistante rispetto ai margini, si ripropone, simmetrico, nella parte inferiore della tavola, in un gesto semplice: Brutto e Bello sorridono tenendosi per mano. Chi legge, riceve da questo raddoppiamento la dimostrazione che segno aritmetico e gesto corporeo – l’uno in mezzo a parole, l’altro in mezzo a figure – svolgono una funzione equilibrante. Parole e immagini, su queste basi, si bilanciano reciprocamente. [...] Esclusi il frontespizio e le ultime due tavole, i raggi di uno spicchio di luna fasciano quest’avventura di luce intensa, sicura. Brutto + Bello è abitato da mostri amici, che non fanno paura, al contrario, tengono compagnia. In questo modo, leggere Brutto + Bello nell’ora di dormire, può assumere un significato particolare per quei lettori che più temono il buio e il distacco tra giorno e notte. «Prima dell’alba, il fuoco si spegne. “E adesso dove andiamo?” Chiede Brutto Uno, stanco. “Torniamo sotto i nostri letti, sotto i nostri bimbi.” “A dormire?” “A dormire. Il fuoco brillerà ancora domani notte.” “E la notte dopo.” “E quella dopo ancora” “Finché danzeremo, brillerà.”».

Da Il dono della sintesi, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2007

Il nostro libro dei colori

di Harriet Russell, 2006

Il nostro libro dei colori è un libro sulle forme, sui colori, sulla luce, sul disegno, sia delle figure che delle parole. In compagnia di due protagonisti (Jane e Tim, presentati in copertina), il lettore si accorge di quanto la semplice osservazione della realtà possa riservare sorprese, e di come questa rappresenti una fonte di ispirazione notevole per chi ha illustrato il libro. In queste pagine, guardare e pensare le cose in modo personale (Tim in un modo, Jane in un altro), non porta alla polemica, ma a un dibattito animato fra bambini, in cui opinioni diverse si confrontano. Il nostro libro dei colori nasce a diretto contatto con l’esperienza. Tim e Jane, infatti, non esprimono concetti astratti: posti davanti a un’immagine (in ordine di apparizione, una mela, un gatto, una collina, la pelle del corpo, una fetta di pane, una porta, la luna, una zebra, una penna, i capelli, dei cani, dei biscotti) dicono come appare loro. «“Guarda! Una mela bianca” dice Tim. “Ma non è bianca” dice Jane. […] “Che bel gatto giallo!” esclama Jane. “[…] Non è giallo!” dice Tim. […] “Grandiosa questa collina verde” dice Tim. “Ma non è verde, scemo!” dice Jane.», ecc. Il lettore ha parte attiva in questa serie di azioni e constatazioni, poiché è testimone oculare di ciascuna scena, e, quasi in tutti i casi, ha modo di verificare le dichiarazioni di Tim e Jane, semplicemente riflettendo sulla propria esperienza. Le situazioni presenti nel libro, alla portata del lettore, invitano a esercitare il proprio spirito di osservazione e a non dare per scontate le proprie percezioni. [...] Il nostro libro dei colori è un discorso a due voci in cui l’una discorda sempre dall’altra. Questo tipo di struttura, si richiama a quella del “contrasto”, un genere letterario medioevale in cui due personaggi dialogano, discutono, si contrastano. Mentre il “contrasto” antico riguarda tematiche amorose, morali e dottrinali, quello inscenato da Tim e Jane si rifà a questioni ottiche, percettive. [...] Le battute sono brevi, pungenti, mai generiche. Il loro ritmo è agile, brillante, in accordo con le scelte grafiche. [...] In questo senso, ogni giro di pagina riserva effettivamente una sorpresa, a conferma del meccanismo intorno a cui è costruito il libro: a ogni quesito posto da Tim e Jane, il lettore trova la soluzione girando pagina. [...] In senso ampio,  il contrasto ludico fra Tim e Jane mira a trovare un’intesa, perché in effetti è, al modo dei bambini, una discussione aperta, cosa a cui Il nostro libro dei colori invita, anche fuori dal libro, quando non si è d’accordo con qualcuno o su qualcosa, come sempre accade nei giochi fra bambini. Il nostro libro dei colori è, infatti, anzitutto, un libro per giocare.

Da Il gusto della dialettica, di Giulia Mirandola, Catalogone 2006.

La più buona colazione del mondo

di Giovanna Zoboli e Massimo Caccia, 2011
18,00 | Acquistalo su Topishop

Un viaggio vissuto nella realtà. Un sogno. Quel che resta di una visione. Una esposizione di oggetti comuni e di comparse fuori dall'ordinario. Un buongiorno. Una dieta molto tradizionale. Un inizio di mattinata tutti i giorni uguale e tutti i giorni diversa. Una galleria di occhi tondi. Una voce. Sedici immagini dipinte a mano, trentadue pagine. Una stanza dove si cucina e si mangia. Una casa. Un gioco di forme che si assomigliano. Un valzer animale: ovvero La più buona colazione del mondo di Massimo Caccia, scritto da Giovanna Zoboli. [...] La più buona colazione del mondo si svolge al chiuso, tra le pareti di una casa, nello spazio di una cucina domestica. Una rapida rassegna dei titoli presenti nel catalogo Topipittori rende l'idea di quanto questi soggetti interessino l'editore, certi autori e illustratori. Pensiamo a Due scimmie in cucina (G. Scarabottolo e G. Zoboli); a Chiuso per ferie (M. Celija); a Ovunque tu sia caro coccodrillo (F. Bazzurro e G. Zoboli); a Casa di fiaba (A.E. Laitinen e G. Zoboli). Perché, per chi si occupa di narrazioni, la dimensione domestica è tematizzata così frequentemente? Che relazione c'è tra la rappresentazione degli ambienti in cui abitiamo e i nostri comportamenti, costumi, cultura? Secondo quali esperienze un'azione quotidiana, come fare colazione, può essere percepita e interpretata in termini avventurosi, anziché ripetitivi e banalizzanti? [...] La più buona colazione del mondo è il frutto di una concatenazione di impressioni originate da percezioni multisensoriali. A garantirne la riuscita, però, è qualcosa di più radicato soggettivamente e di più propulsivo della nostra capacità di sentire fisicamente. Sono gli amici. In questo caso, amici immaginari. Li rendono unici, nel loro genere, non degli attributi e delle originalità legati all'aspetto fisico o al carattere. Si potrebbero citare gli occhi inesorabilmente tondi, una certa eleganza, l'interesse nei confronti di chi li osserva, il proposito di fare bene. Tutti sono gentili e hanno un modo discreto di interferire con la realtà modificandola secondo le aspettative e i desideri di chi li chiama all'appello. A renderli unici è la loro stessa esistenza. A essere unica è la forza visionaria di chi dà loro anima e corpo, a mente. Quando, sull'ultima frase, la colazione è pronta, il sogno è compiuto ed è ora di alzarsi.

Da Quasi solo colazione, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2013.

I cigni selvatici

di Hans Christian Andersen, Maria Giacobbe, Joanna Concejo, 2011.
€ 20 | Acquistalo su Topishop

Smorzare la temperatura di certe emozioni, affievolire la luminosità di certe gioie, attenuare il dolore di certe prove, abbreviare il corso di certe attese, risparmiare i conti di certe fatiche, non garantirebbe ciò per cui I cigni selvatici esistono: rendere possibile l'impossibile. Circa un anno fa, il blog “Le figure dei libri” pubblicava un'intervista a Joanna Concejo. Fino a questo momento, per Topipittori, l'illustratrice franco-polacca aveva dato forma a personaggi maschili, enigmatici, invisibili, si chiamavano Il signor Nessuno e L'angelo delle scarpe.  Con Maria Giacobbe, una scrittrice e giornalista di origine sarda, trasferita in Danimarca dalla fine degli anni Cinquanta, Concejo interpreta I cigni selvatici di Hans Christian Andersen, un classico della letteratura fiabesca entrato nel 2011 nella collana “Fiabe quasi classiche”. «Per me, tutto comincia nella realtà. Anche l'immaginazione», afferma l'illustratrice. «In ogni caso, l'immaginazione è radicata nella realtà e se ne nutre», continua. «La realtà è una sorgente inesauribile: se sono capace di “vedere”, se so attingervi.» Potrebbe sembrare un paradosso cominciare l'approfondimento di un racconto imbevuto di eventi e visioni prodigiose da una dichiarazione di realismo. Tuttavia, dalla prima all'ultima pagina, I cigni selvatici confermano che il vissuto terreno è intrecciato a vissuti di altra specie e che nel paesaggio delle fiabe questa obliquità è un fatto assolutamente ordinario. [...] Tutto nelle fiabe conosce un grado di intensità esagerato. I cigni selvatici (e con esse l'opera omnia di Andersen e dei Grimm) sarebbero altro da sé, se le parole e le immagini non rispettassero questa impostazione. Ma, scrive Wisława Szymborska in L'importanza di farsi spaventare: «I bambini amano essere spaventati dalle favole. Hanno un naturale bisogno di essere spaventati dalle favole. Andersen atterriva i bambini, ma nessuno di loro, una volta diventato grande, gliene ha mai voluto.»
Il mondo dorato che avvolge le dodici creature dalla nascita, finisce il giorno in cui il re sposa in seconde nozze una «perfida regina per niente gentile». La donna e l'uomo si liberano di Elisa e fratelli spedendo l'una in campagna, presso una famiglia di contadini, gli altri nel mondo, sotto  l'influenza di un sortilegio noto solo alla matrigna e a chi ne è colpito: di giorno i principi hanno l'aspetto di cigni selvatici, di notte riacquistano sembianze umane. Concejo opera una scelta radicale sui soggetti anderseniani [...]. Tanto più sono abbandonati a se stessi e dimenticati da chi li volle al mondo, quanto più principi e principessa trovano asilo tra le figure illustrate. Calde, adornate di elementi floreali e fibre vegetali, di acque che inumidiscono e aria che trasporta, dilatate a tempi e spazi di sogno, regine assolute: sono le illustrazioni di Joanna Concejo, una casa affettuosa, per i destini nomadi di personaggi sempre al limite della sopravvivenza e all'apice della stanchezza fisica e psicologica. [...]  Scrive Cristina Campo, che allo studio delle fiabe e della religione ha dedicato buona parte della propria esistenza, «Eroi e bardi della fiaba assoluta, la fiaba delle fiabe, furono in ogni secolo i Santi. Ovvero si trattò di personaggi arcani, gentiluomini e dame che allietarono con la loro grazia intellettuale corti e, in figura di compianto amoroso o di fantasia stravagante, narrarono storie in tutto simili alle storie dei Santi.»

Da Rendere possibile l'impossibile, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2011.

Velluto. Storia di un ladro

di Silvana D'Angelo e Antonio Marinoni, 2007
16,00 | Acquistalo su Topishop

Nella casa di un architetto e di una ballerina, il ladro Velluto non tocca nulla, ruba a naso. Un’opera d’arte che risale il tempo e ritrova intatto il profumo dell’infanzia. È fine maggio, in un appartamento abitato. La voglia d’estate spalanca le finestre di ogni stanza. All’ora di cena, il giro d’aria provoca un venticello gradevole che rinfresca gli ambienti e agita le tende, come sulla copertina di questo libro. [...] Fin da qui, Velluto. Storia di un ladro tiene il lettore in sospeso. Ferma la sua attenzione e ferma il tempo. [...] Da fuori e dall’alto, la luce si proietta sul pavimento, come un faro sul palcoscenico, formando un quadro che indica, al proprio interno, i creatori della storia e del libro, ed è speculare, per formato e rilievo, alla finestra superiore, dove è in corso un’azione sbalorditiva. Mani di uomo nero affiorano sul davanzale. Su questa soglia, il lettore fa come il ladro. Entra non visto, in casa di sconosciuti. Il momento che precede l’inizio di un concerto, di un balletto, di un’opera, è da sempre, in teatro, gravido di domande, buio, silenzio sacrale. Con Velluto. Storia di un ladro si assiste a un fenomeno analogo, cui prendono parte esseri umani, animali, minerali, piante, in un’alternanza felpata di fasci di luce e coni d’ombra. Alle opere d’arte, coro maestoso per cinquantasei pagine, è affidato un ruolo antidecorativo e antimuseale. La casa in cui Velluto si infiltra, non nasconde di essere un monumento alla creatività umana. L’idea di bellezza che abbraccia è enciclopedica. Cose antiche, moderne e contemporanee – originali e falsi, pezzi unici e di serie –, offrono al lettore variazioni e relazioni infinite. Ma le stesse cose – antiche, moderne, contemporanee – sono elementi drammaturgici, personaggi che commentano l’azione, amplificano o presagiscono il corso degli eventi. Il loro peso è determinante, poiché, per figure, sorvegliano ogni passo del testo e scrivono il finale. [...] Questo libro è una Wunderkammer. [...] Parole come carezza, onda, casa, bene, sera, primavera, azzardo, complice, naso, accordo perfetto, conferiscono a questo esordio un tono caldo, da grande occasione, che fa di Velluto un personaggio avvincente, un po’ piratesco e un po’ metropolitano. Portati in primo piano, lettore e ladro aderiscono a un progetto comune, solidarizzano in un territorio alieno a entrambi. È un luogo domestico, una casa felice e « una casa felice è una casa ospitale».

Da I fantasmi, dunque, esistono, di Giulia Mirandola, Catalogone 2007.

Dentro me

di Alex Cousseau e Kitty Crowther, 2008
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Dentro me sono due parole. Otto lettere in tutto. In pochissimo spazio e un filo voce, dicendo “dentro me” si scatena un big bang che dà vita a un universo. Dentro me non parla dell’origine del mondo, ma dell’origine di sé. È scritto in prima persona ed è la storia di un bambino e del suo orco. Crescere, di fatto, implica lo scontro con un mondo che già c’è e un mondo tutto fare, che ciascuno fabbrica con le proprie mani e le proprie idee. Dentro me è uno dei tanti possibili. [...] Dentro me non vale solo dai cinque ai dieci anni, ma anche poi. Durante l’adolescenza, per esempio, un libro come questo può servire ad ascoltarsi più in profondità e a decifrare i forti cambiamenti in corso a quell’età. [...] Dentro me ci sono questioni private e universali: il buio, la paura, il vuoto, la speranza, la giustizia, il desiderio, la solitudine, la gioia, l’angoscia, il morire, il nascere, la verità, il sogno. Sono temi filosofici su cui l’uomo si interroga da più di duemila anni. Non possiamo aspettarci che siano facilmente digeribili. Per quanto impegnativo, parlare di questi argomenti, è necessario, altrimenti mai si cresce, mai ci si conosce. Farlo attraverso un libro illustrato come Dentro me può essere una metodologia da seguire, sia in una scuola dell’infanzia sia in una elementare. Le religioni «per parlare al cuore degli uomini si servivano non di dogmi, ma di splendide e immediate metafore», scrive Laura Marchetti. Dentro me, per parlare al cuore di ciascun lettore attua la stessa strategia.
Viaggiare dentro sé è un’avventura estrema, paragonabile a quella dello speleologo che si cala in un buco profondo della terra per vedere cosa c’è sotto, cosa c’è dentro. Solo chi, come il protagonista della storia, dopo essere entrato, esce, può raccontare cosa si vede laggiù. Per questo la testimonianza del bambino-orco è preziosa. Rappresenta una mappa per tutti i suoi lettori, fatta di immagini e di parole. [...] Sì può leggere un libro come questo in una scuola elementare? Sì. E in una scuola materna? Ci si provi. Perché rifiutare l’idea a priori? Dentro me insegna una cosa importante agli adulti che vivono e/o lavorano con i bambini tutti i giorni: che non esistono, in verità, libri impossibili. Ciò che ne rende praticabile o impraticabile la lettura, non sono strettamente il contenuto e la forma, e nemmeno l’età di un bambino. Siamo soprattutto noi.

Da Guardare e piangere, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2009.

Al Supermercato degli Animali

di Giovanna Zoboli e Simona Mulazzani, 2007
13,00 | Acquistalo su Topishop

Al Supermercato degli Animali si apre a ogni sorta d’animale e gusto. Chi fa incetta di lattuga, chi di robinia. Chi riempie il cestino di mirtilli, chi carica il carrello di zucche. Chi afferra scatole di aringhe, chi larve di mosconi. Chi ordina formaggi, chi ruba pollo e uova. La varietà di forme e di colori che si dispiega sui banconi della frutta e della verdura, investe tutti i settori (pesce, carne, latticini). In queste pagine, l’orizzonte di un pasto frugale, ma ricco di vitamine, fibre e proteine, è una prospettiva desiderabile per tutti e da tutti condivisa con entusiasmo. Testo e illustrazioni sono compatti nell’affermare che la salute è uno stato di benessere fisico e psichico da conquistare.
L’idea che una dieta equilibrata abbia come immediata conseguenza una mortificazione del piacere del cibo, secondo Al Supermercato degli Animali, è falsa. L’aspetto di queste creature non tradisce delusione. Semmai trapelano humour, anticonformismo, cordialità, cocciutaggine, sobrietà, fiducia, sorpresa, educazione, fantasia, serietà, mitezza, sistematicità, garbo, spirito organizzativo, parsimonia, arguzia, eleganza, lentezza. Nel mangiare, ciascuno ha un’identità propria e un proprio stile. Assecondarli, vuol dire rispettare la natura, personale, ma non solo. In generale, Al Supermercato degli Animali è attraversato da un clima allegro, vivace. Gli animali collaborano fra loro, le scene collettive sono una costante: personaggi e lettori, a proprio agio, partecipano a esperienze divertenti.
Le immagini di Simona Mulazzani e i versi di Giovanna Zoboli portano in scena un universo sociale composito: c’è un luogo comune affollato di creature diverse. C’è uno spazio ordinato e un movimento collettivo. La condivisione, qui messa in scena, genera armonia. Ad assaggiare nuovi sapori, la tavola si riempie, gradualmente, di prodotti di primissima qualità. Lo spazio surgelati, invece, si estingue. Il fatto che questa storia avvenga in un supermercato – e non in una bottega o boutique o in un negozio di altro tipo – precisa che questo libro è dedicato a un pubblico ampio ed eterogeneo, non d’élite: il supermercato è un luogo di tutti. Inoltre, inserire proprio in questo contesto i principi fondamentali di una buona educazione alimentare, suggerisce che per andare al cuore delle questioni è necessario stare in mezzo alla gente.

Da Al Supermercato degli Animali, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2007.

I tre porcellini

 di Giusi Quarenghi e Chiara Carrer, 2012
14,00 | Acquistalo su Topishop 

Giusi Quarenghi e Chiara Carrer scelgono un classico della letteratura fiabesca per parlare dell'oggi. È uno dei tratti della collana Fiabe quasi classiche attingere a esempi letterari di tradizione e trasformarli in esempi letterari di innovazione. [...] «C'era una volta un bel porcile, dove abitava una bella famiglia di porcelli. Papà porcello, mamma porcella, figli porcelli, tre. I tre porcellini. Così li avevano sempre chiamati tutti. Ma i tre porcellini erano in realtà due più uno, anzi una: due porcellini e una porcellina.» Quarenghi cambia sesso a uno dei tre famosi porcelli, mette una femmina tra due maschi e fa sì che su lei – sul suo modo di essere e di fare – l'attenzione si soffermi. Fa pensare il modo in cui scrittrice e illustratrice risolvono l'identità della porcellina. Per la parola “porcellina”, acquisire una “a” al posto di una “o”, è analogo a un atto di nascita. Avere, dare nomi, non è accessorio rispetto alla persona, tocca da vicino la questione del riconoscimento di se stessi e degli altri. [...] Le figure seguono un altro percorso, per affermare identità. Esse potenziano il riconoscimento dei due generi a partire da corpi rappresentati senza attributi particolari e con i medesimi colori, nudi. La nudità è interpretata da Carrer come una dimensione che unisce, unità di tempo. Il corpo nudo dei porcellini-bambini non è ancora corpo di donna e corpo di uomo, è corpo lasciato essere e lasciato crescere. La loro forza si sostanzia in questa formidabile disposizione al movimento e all'evoluzione, resa evidente dai successi cui partecipiamo, pagina dopo pagina. I genitori sono alle spalle, la vita è davanti, sembrano affermare i tre porcellini. Quello che risalta dai loro stili di vita è un prevalente disinteresse verso i problemi piccoli e una passione espressa in modo multiforme per quelli grandi: salvarsi, trovare un luogo sicuro dove riposare, scaldarsi, stare uniti, stare insieme. [...] La fiaba I tre porcellini di Giusi Quarenghi e Chiara Carrer, mentre racconta, prende posizione sulla società in cui viviamo e su alcune sue sfumature marca punti di vista netti (ruoli maschili e femminili, rapporto con l'ambiente naturale, famiglia, educazione eccetera). Tuttavia, la percezione comune è che si tratti di una storia da leggere per il gusto di leggere. Ci affezioniamo a certi libri, storie, personaggi a prescindere dalle interpretazioni che qualcuno darà. I tre porcellini raccontati da Quarenghi e illustrati da Carrer appartiene a questa famiglia di libri-compagni.

Da Due + una, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2013.

P di papà

di I.M. Martins e B. Carvalho, 2011
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«Non è che noi ci occupiamo dei bambini perché li amiamo: al contrario, noi li amiamo perché ce ne occupiamo» scrive Alison Gopnik in Il bambino filosofo. In che modo? Il libro di Isabel Minhós Martins e Bernardo Carvalho, P di papà, sembra fatto apposta per rispondere a questa domanda [...]. Con la differenza che il «noi» della Gopnik è diverso dal «papà» di cui raccontano i due autori portoghesi. P di papà si sviluppa nella forma del dialogo tra un bambino, o una bambina, e il suo papà. La copertina è esemplare nel tracciare la direzione del legame amoroso tra genitore e figlio. È il papà che bacia il bambino sulla punta del naso ed è la persona grande che arrotonda questo momento con una carezza sulla testa della persona piccola. [...]
La paternità in arte non si è mai vista. Pittori celebri e mediocri si sono nei secoli cimentati nell'esecuzione di Maternità e il numero di Madonne con bambino, al mondo, è incalcolabile [...]. Lasciando da parte le questioni teologiche e i secoli passati, proviamo a soffermarci su quelle culturali e sul tempo presente. Ha ancora senso evitare visivamente la paternità? Come risarcire, in campo visivo, quei padri che pur sapendo eguagliare in grazia e dolcezza certe vergini belliniane o leonardesche, non hanno a disposizione un'iconografia di riferimento? [...] L'immagine della madre con in braccio il suo neonato marca un segno profondo nell'immaginario di molte società, la nostra compresa, con relativo bagaglio di stereotipi. A debita distanza da posizioni ideologiche, P di papà mostra che i “papà con bambino” non solo esistono, ma si offrono allo sguardo sempre in posizioni differenti, quando le madonne, da che le riconosciamo, presentano una gamma limitata di posture, di azioni e di attributi, seppure con numerose varianti. [...] Tra la storia dell'arte e quella dell'educazione, in casi come questi, il confine è tracciato appena. Secoli di latitanza visiva dei padri sembrano avere corrisposto a secoli di latitanza fattiva nel riconoscimento di un ruolo che non fosse semplicemente autoritario. Martins e Carvalho sanno essere scaduto il tempo dei papà assenti, dei papà solo lavoratori, dei papà padroni, ugualmente quello dell'egemonia femminile all'esperienza dell'accudimento, tanto più che fuori dall'Italia e in numero sempre crescente anche nel nostro paese, sono numerose le coppie omosessuali con figli. La tenerezza e l'affettuosità non sono privilegi femminili, non lo sono stati mai, né sono qualità collegabili in modo specifico all'identità sessuale di uno dei due genitori.

Da Alla lettera P, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2011.

Poesie per aria

di Chiara Carminati, 2008
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Poesie per aria. Un titolo e una figura, non altro, e il libro di Chiara Carminati e Clementina Mingozzi, sta già raccontando moltissimo di sé. Che si tratta di una raccolta di poesie. Che il pubblico della poesia non è formato solo dagli adulti, ma anche dai bambini. Che la poesia va come i piedi di questa bambina, un po’ attaccati al suolo e un po’ sospesi, e scalzi, per sentire meglio. Che non si scrivono poesie solo per innamorati, perché la poesia è una voce, un canto, non un affare di cuore. [...]
Cos’è l’aria? Qualcosa che ha a che fare con il respiro. Luce Irigaray ha scritto che «soltanto la madre respira per il bambino. Dopo la nascita ciascuno(a) di noi, dovrebbe respirare per sé” e aggiunge che aria è un luogo «in cui respirare e contemplare ciò che ci unisce e ci divide, ciò che ci collega all’universo e rende possibile la nostra solitudine come i nostri scambi». Anna Maria Ortese sostiene che «La libertà è un respiro. Ma tutto il mondo respira, non solo l’uomo. Respirano le piante, gli animali. C’è ritmo (che è respiro) non solo per l’uomo. Le stagioni, il giorno, la notte sono il respiro. Le maree sono un respiro. Tutto respira, e tutto ha il diritto di respirare. Questo respiro è universale, è il rollio inavvertibile e misterioso della vita». Per Carminati e Mingozzi: «L’aria è fiato, soffio e brezza / sulle guance ti accarezza. / L’aria gonfia, svela, spinge / con le nuvole dipinge / fischia e schiocca tra le fronde / si riposa sulle onde. / L’aria è tutto e non è niente / c’è anche quando non si sente.» [...]
Le Poesie per aria bisogna averle viste, almeno una volta nella vita, per saperle scrivere e illustrare, e bisogna andarle a cercare, durante la lettura e successivamente, perché non restino pagina morta. La casa di queste poesie non è la confenzione del libro, bensì il mondo. Cercare poesie per aria è un gioco perfetto in estate, autunno, inverno e primavera, e consiste nel guardarsi intorno, dove si vuole: fuori dalla finestra, per terra, in mezzo al mare, sul limitare del bosco, ai bordi di una pozzanghera, nei pressi di una laguna, a ridosso di una ferrovia, in cima a un promontorio, vicino agli animali, sulla cresta di un’onda.

Da Faremo una poesia, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2009.

Bacio a cinque

di Giulia Sagramola, 2011
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Giulia Sagramola è una giovane e versatile autrice italiana che divide il suo lavoro tra il fumetto e l’illustrazione. Con uno stile molto raffinato, che mostra un’impronta di scuola francese, Giulia ha pubblicato i suoi lavori per Einaudi, Coconino Press, Selfcomics, Tunué e Mondadori. Il suo blog a fumetti nel 2008 è diventato un libro, Milk and Mint. E ultimamente si è dedicata a un nuovo progetto, indirizzato all’editoria per l’infanzia, che vede finalmente la luce grazie all’interessamento di Topipittori. Il libro, Bacio a cinque inaugura una nuova collana dell’editore intitolata Gli anni in tasca [...]-
È la storia delicata e deliziosa di una bambina, Giulia, e dei suoi primi dieci anni di vita. Ricco di riferimenti autobiografici, il racconto rievoca il mondo dell’infanzia in modo talmente completo da essere una lettura adatta ai bambini e ai genitori, ma anche a chiunque voglia reimmergersi nell’immaginario unico e irripetibile dei primi anni di vita, come ha fatto la stessa Sagramola scrivendo e disegnando. Difficile non affezionarsi alla piccola Giulia, alle sue passioni e idiosincrasie, alla sua credulità e agli amici immaginari, ai suoi errori e alle sue manifestazioni emotive.

Giulia Sagramola si racconta in Bacio a cinque, da Comicsblog, 2011.